Riflessioni: perché articoli come quello di The Vision diventano virali?

Quando il famigerato articolo di The Vision è stato pubblicato, è diventato rapidamente un caso mediatico. Molti di voi, infatti, hanno dichiarato che veniva condiviso a manetta dai vostri contatti non vegani, e io stessa, visitando la pagina del magazine, ho constato l’enorme numero di condivisioni e di commenti che avvallavano ad occhi chiusi tutto quello che nel suddetto articolo era riportato.

Perché è successo, e perché continuerà a succedere?

Oggigiorno l’obiettivo dei social media è soprattutto quello di suscitare scalpore e indignazione, per generare traffico sulle pagine che ospitano “scoop” opinabili. Che si parli di Trump, di immigrazione o di vegani che conducono al deperimento i propri figli (o che causano la morte dei messicani e la povertà nel terzo mondo), il fine ultimo è quello di infiammare gli animi, così da agguantare popolarità, traffico, e, di conseguenza, soldi. Perché ogni click (a parte il mio povero blog) porta soldi. E se i click sono tanti, il gioco è fatto.

Un esempio: qualche mese fa lo YouTuber più famoso del mondo, PewDiePie, ha portato avanti una serie di battute più o meno discutibili sugli ebrei, senza rendersi conto che avrebbe potuto attirare le “attenzioni” dei media. A un certo punto, il Wall Street Journal ha estrapolato dal contesto molte di queste battute, dando l’immagine di un PewDiePie antisemita, razzista e suprematista. Vuol dire che il creator svedese è davvero tutte queste cose? Ovvio che no, tant’è che si è scusato, e ha risposto per le rime alla testata. Ma la tendenza a credere ciecamente a tutto quello che viene riportato su internet, senza informarsi a dovere, ha colpito anche personalità di spicco quali J. K. Rowling, che, senza conoscere il personaggio in questione o il contesto, non ha esitato a utilizzare il suo account Twitter con milioni di followers per condividere l’articolo di WSJ e contribuire alla diffamazione di PewDiePie.

Posto che la popolarità è la mela proibita della seconda metà degli anni 2000, e che tutti la desiderano ardentemente, è facile utilizzare argomenti che possano urtare la sensibilità dell’utente medio. Sfortunatamente per noi, il veganismo e i vegani fanno parte di questi argomenti.

Come ho detto altrove, il veganismo in questi ultimi anni ha avuto un boom spaventoso. E questo da una parte è stata una cosa meravigliosa, perché ora andiamo al supermercato e troviamo le brioche vegane, andiamo al bar e possiamo chiedere il Veggy Cornetto, andiamo al ristorante e la pizza la fanno con la mozzarella vegan. Dall’altra, però, questa incredibile e sempre crescente popolarità ha portato a mode dell’ultimo momento e a diverse miscredenze, come quella secondo cui se sei vegano sei automaticamente salutista e, per carità, non mangi nulla che non sia bio, integrale o senza olio di palma. Al top di tutto questo, assieme a queste informazioni traballanti, si aggiunge che molti onnivori hanno avuto a che fare con vegani particolarmente intransigenti, la qual cosa ha fomentato odio e insofferenza, sentimenti che vengono costantemente alimentati da articoli come quello di The Vision, che si concludeva dicendo che la scelta vegana mica è sbagliata, dopo aver passato 4/4 dell’articolo a spalarle mer*a addosso (mi sono quasi messa a ridere, suonava troppo sciocco).

Non scorderò mai quell'”amica di un’amica” (che ho citato in un vecchio articolo), che a nemmeno due minuti dalle doverose presentazioni, a sentire che ero vegana è subito partita in tromba con “ma tu sei una di quei vegani rompico***oni? No, perché se no me ne vado”, e io in effetti la invitai a lasciare il tavolo, che di meno non me ne poteva calare. Uso lei come esempio perché è proprio il genere di target a cui è destinato l’articolo di The Vision. Posso già immaginare la sua ri-condivisione sulla propria bacheca, il commento pieno di risentimento lasciato sulla loro pagina Facebook, la difesa delle proprie tesi.

La verità è che la gente non ci conosce, ci vede da fuori e pensa che siamo strani, contro natura, bastardi arroganti senza arte né parte. Non sa con quali criteri compiamo la nostra scelta, e ancor meno sa come la portiamo avanti nel nostro quotidiano. Siamo tutti diversi, ma questa è una cosa che non entra in testa a nessuno. Non tutti gli onnivori mangiano da MacDonald’s ogni giorno o comprano dai negozi cinesi. Articoli come quello citato, o tutti gli altri articoli sui bambini vegani finiti in ospedale (a dispetto di quelli della stessa risma sui bambini onnivori obesi, tuttavia mai condivisi con lo stesso spirito), non fanno che incoraggiare i pregiudizi e l’odio nei nostri confronti, soprattutto se questi elementi poggiano le loro basi su spiacevoli confronti “onnivori vs vegani” avvenuti al buon vecchio sapore di vetriolo.

Lo trovo abbastanza triste, perché é come quando a scuola o in ufficio si parla male di qualcuno senza conoscerlo davvero. Si mettono in giro voci di corridoio per rovinargli la reputazione, perché semplicemente si è cattivi o, ancora peggio, si tenta di sabotare l’individuo. Ed ecco che accanto al desiderio di popolarità, proprio come disse anche PewDiePie nel suo video-risposta al WJS, c’è l’intento di sabotare e screditare. Il veganismo sta crescendo e sta conquistando uno spazio sempre maggiore all’interno del mercato. Questo fa paura, fa paura alle aziende e fa paura ai consumatori che non si informano e pensano che siamo una setta (come diceva Vissani). Però non siamo terrapiattisti, le verità che vogliamo promuovere e di cui vogliamo far prendere coscienza sono reali, e avvengono ogni giorno.
Sarebbe bello se anziché etichettarci e parlare male di ciò che facciamo, la gente provasse a conoscerci, a parlare con noi e scoprire le nostre ragioni. E dalla nostra - sì, parlo con te vegano estremista - sarebbe altrettanto piacevole mantenere toni pacati ed educati. Se andiamo in giro a dire “io sono migliore di te perché tutto quello che mangio è etico”, è abbastanza ovvio che quell’altro - a cui staremo sulle balle dal minuto zero, come alla mia “amica di un’amica” - ribatterà subito cercando il cavillo nella provenienza dei nostri avocado o delle nostre scarpe. Non è sempre colpa nostra, a volte siamo provocati e ci viene da difenderci, è umano. Ma è proprio questo che articoli come quello incriminato vogliono.

Chiunque conosca un vegano con la testa sulle spalle (categoria in cui spero di poter ricadere), sa che non scegliamo la nostra strada perché il nostro obiettivo è dimostrare che siamo migliori degli altri, lo facciamo perché la causa ci sta a cuore e cerchiamo di impegnarci per promuoverla.

Poi c’è il marketing che ci sfrutta, ma quella è un’altra storia. Magari ne parleremo un’altra volta.

Alla prossima!